
Contenuti: lunghi o brevi? L’importante è saperli usare
Il web è il luogo dell’ultra-velocità, dell’abbondanza dei contenuti, de La soglia d’attenzione è meno di 8 secondi, quindi ti ho già perso.
Nel caso fossi ancora qui però, il tema di cui si parla in questo articolo è il contenuto o, più nello specifico, la sua forma. Una carrellata di domande per inquadrare il problema?
Dai, via:
- Qual è il tipo di contenuto migliore?
- Sono meglio i contenuti lunghi o corti?
- Perché è consigliato essere brevi?
- Davvero le persone non leggono?
- La soglia d’attenzione è bassa perché i contenuti sono tanti e corti, oppure è questo tipo di offerta ad aver abbassato la capacità di stare attenti?
Stavolta, per provare a dare qualche risposta, oltre a dati e ricerche farò qualche considerazione personale.
Come vivo i social
Inizio perciò il discorso analizzando come mi comporto.
Dovessi chiedermi quale sia il contenuto che sul web consumo di più, tra breve e lungo, direi di certo il primo.
La mia non è una scelta conscia, ma un’abitudine.
Soprattutto navigando da smartphone, mi trovo a rimbalzare da un social all’altro guardando in velocità i diversi feed. Mi fermo soltanto quando qualcosa cattura la mia attenzione, e qui, la consapevolezza di avere a portata di mano le conversazioni di tutta la mia rete sociale, mi tiene sempre sull’attenti.
Non ne sono felice, ma tra notifiche, vibrazioni e notizie tutto si accumula, ti chiama e… che posso fare?
Accelero la lettura che ho di fronte, chiudo in fretta e torno al feed.
Cosa mi rimane dopo mezz’ora di navigazione?
La sensazione di aver perso tempo e ben pochi concetti in testa.
L’abbondanza è un’abitudine
Essere bombardato da un continuo flusso di contenuti ti costringe a evolverti per sopravvivergli.
O li leggi tutti, o rimani indietro. Non sei sul pezzo? Avrai la fastidiosa sensazione che ti stia perdendo qualcosa di importante.
Questo non succede perché sei un uè deficiente, come direbbe il caro Calcutta, ma perché i social (e gli aggregatori di notizie, le app con cui ti tieni aggiornato e via discorrendo) sono studiati appositamente per non farti andar via dal loro territorio digitale.
Ogni notifica è una scarica di dopamina, la promessa di un’imminente gratificazione, la sensazione di una novità che finalmente ti svolterà la giornata.
Scegliere di staccarsi da tutto questo è difficile, sia perché potresti addirittura non accorgerti di annaspare in un vortice di inutile pattume digitale, sia perché cambiare abitudine è un processo lungo.
Sulla questione ci sono diversi studi, tra cui il più recente (2010) della ricercatrice Philippa Lally.
Indagando su comportamenti relativi a cibo, bevande e piccole attività quotidiane, ha concluso che per formare un’abitudine nuova ci vogliono in media 66 giorni. Certo qualcuno è riuscito a farcela anche in 18, ma dal lato opposto ci sono campioni con 256 giornate di fatica.
Vuoi importi di approcciare al web con più autocontrollo? La strada è tutta in salita, ma per fortuna esiste un trucco: se lo sforzo da affrontare è grande, impegnati in qualcosa di più piccolo ma comunque affine. Costruire una micro-abitudine permette di automatizzare comportamenti che, se presi in blocco, sarebbero difficili da interiorizzare.
Il testo è morto, lunga vita al testo
Nel 2015 riflettevo con un po’ di amarezza delle difficoltà di farsi leggere. I testi su internet perdevano terreno lasciando spazio e tempo a immagini e video. Questione anche di dispositivi, ché leggere molto in uno schermo da 8 pollici non è il massimo della vita.
Un anno dopo però, cercando fonti utili per la stesura della tesi, mi sono imbattuto nello slow journalism, e più in particolare in questo libricino con 7 esempi di informazione lenta (e lunga) che si imponevano in un mercato dove l’infobesity la fa da padrone.
L’esempio dello slow journalism torna utile per intercettare una domanda sempre più presente in un mondo, quello dell’informazione, rapidissimo e caotico: dove troviamo un’alternativa?
In questo caso la soluzione è appunto il giornalismo lento, che è approfondito, non frammentato e soprattutto, se ne frega del click ad ogni costo.
Ma parlando di web in generale, di blog, di copywriting, o meglio ancora di digital copywriting, dove sta l’alternativa? Non ci hanno forse detto che bisogna essere brevi? Che l’attenzione è calata?
Insomma: non sono meglio i testi corti, rispetto a quelli lunghi?
Cosa vuol dire “meglio”?
La ricerca di una soluzione forse parte dall’individuazione della giusta domanda.
Ti chiedi cosa sia meglio tra due alternative, ma non definisci cosa s’intende davvero per migliore.
Anzitutto: migliore in relazione a cosa?
Semplice: al raggiungimento di un obiettivo. Conoscendo l’obiettivo del tuo testo, capirai subito tra due alternative quale sia la migliore.
Ciò non significa però che l’utilità debba essere l’unico indicatore da tenere in considerazione.
Se per esempio volessi scrivere testi più corposi e approfonditi, nonostante il mio blog ottenga performance migliori con articoli brevi?
Se volessi invertire la tendenza alla non lettura su internet (ne parlo qui) e differenziarmi offrendo un’alternativa?
Se semplicemente fossi testardo, o stupido?
Perché scrivere testi lunghi
Produrre articoli corposi, se questi allontanano il lettore, non ha alcun senso.
Quando però la propria audience dimostra di dedicare volentieri del tempo all’approfondimento, forse vale la pena ragionarci su. Il bello poi è che se trovi (o ti crei) il pubblico giusto, il problema della soglia d’attenzione lo puoi lasciare tranquillamente a qualcun’altro.
I vantaggi di un testo più lungo sono infatti diversi, e valgono sia per chi scrive che per chi legge.
Chi scrive avrà:
- utenti che trascorrono più tempo nel sito
- più probabilità di monetizzare i lettori
- più fiducia e considerazione da parte del proprio pubblico
- un aumento dell’engagement, delle discussioni, della visibilità
- una community più unita
- differenziazione rispetto ai competitor
Chi legge invece può:
- scoprire qualcosa di utile, abbandonando la sensazione di aver perso tempo
- avere più possibilità di confronto (non solo con l’autore ma anche con gli altri lettori)
- trovare qualcosa di nuovo e diverso da leggere
- avere un punto di riferimento, trovando un luogo che non sia in balia dell’infobesity
Le tendenze esistono perché funzionano
Mi sono soffermato parecchio sul testo perché, rispetto a immagine e video, è il contenuto più faticoso (e lento) da fruire. Altro motivo più banale è che, scrivendo, è un aspetto che mi interessa di più.
La questione del tempo speso su internet ovviamente riguarda anche gli altri tipi di formato.
Ora, non vorrei passasse il concetto che allungare il brodo sia meglio. Come dicevo, meglio è ciò che funziona.
Vorrei però farti notare che, se esistono nomi e categorizzazioni diverse a seconda della lunghezza di un formato (esempio il video), è perché queste si sono rivelate efficaci e perciò imposte come standard o tendenze.
Scegliere un video di 3 minuti per un’inserzione in-stream su Google Ads non è l’ideale.
Come suggerisce la parola, comparirà solo per pochi secondi (di cui 5 da vedere obbligatoriamente) nel bel mezzo di un altro video. Nessuno ti vieta la durata di 3 minuti, ma se ti stai giocando un click in pochi istanti e proprio mentre stai “disturbando” l’utente, tanto vale sfruttarli bene.
Hai buoni motivi per servirti di un filmato lungo? Bene, utilizzalo!
I risultati ottenuti non sono quel che ti aspettavi? Non ti resta che capirne il perché e vedere se la lunghezza ha influito.
Prendendo in prestito un modo di dire non proprio elegantissimo: l’importante non sono le dimensioni, ma come lo si usa.
Letture consigliate
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Informarsi con lentezza: Sette lezioni di buon giornalismo contro l’infobesity, autori vari
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Ehi, c’è anche il video!
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